Catalogo della mostra di Biagio Cepollaro,La materia delle parole, Galleria Ostrakon, 2011
Biagio Cepollaro, Inaugurazione della mostra La materia delle parole, 20 gennaio- 5 febbraio 2011, ore 18.30.
Galleria Ostrakon, via Pastrengo 15, Milano.
Catalogo introdotto da Elisabetta Longari.
Dal Catalogo:
Elisabetta Longari
La ritmica di Biagio Cepollaro
Se la poesia è principalmente questione di ritmo, anche per lo sguardo, come tra i primi ha indicato Mallarmé, allora questa pittura di Cepollaro non è che la forma che la sua poesia ha assunto attualmente.Sulle superfici galleggiano isole di testo come fogli o timbri, mentre “viaggiano” parole ridotte a tracce di energia di un corpo che respira sente scrive; ma sono soprattutto le pause che ne scandiscono il senso come il montaggio in un film. La poesia, la scrittura e le parole, allontanatesi dal problema del significato, portano nel corpo di ciò che costituzionalmente sono (e che la semiotica ci ha insegnato a designare come significante) una meteorologia irta di aperture e collassi.I colori svolgono comunque una parte considerevole, sprigionando effetti stranianti: anche se vicini ai primari, sono colori “scomodi”, non pacificati, a volte perfino sulla soglia dello stridore. Figli di un evidente tramestio cui Cepollaro sottopone i materiali più vari.Rosso, nero e giallo-oro evocano sigilli e ceralacche, mentre i formati a volte richiamano il rotolo orientale, senza però mai portare un senso di precarietà e leggerezza; anzi i lavori presentano una durezza un po’ ostica, un effetto pietrificato, come tavole scritte in un enigmatico linguaggio di cui si è perdutala memoria. Niente stele di Rosetta, solamente si susseguono strati su strati, e le parole indistinte formano un brusio sommesso. Suoni. Voci. Timbri. Toni. Non è questa poesia?
I titoli, brevi, hanno per lo più a che vedere con la scrittura e con la letteratura (si veda il recente ciclo La cognizione del dolore, ispirato a Gadda); altrimenti spesso coincidono, o semplicemente incominciano, con un verbo all’infinito (ad esempio Incombere, Squadernare, Redimere il nero). I titoli dei dipinti di Cepollaro contengono quindi a volte l’idea di un’azione che ne sottolinea il valore fenomenologico; però invece sempre portano un’ombra, un rischio.‘Le opere d’arte sono sempre il frutto dell’essere stati in pericolo‘, scriveva Rilke, che se non erro era un poeta…
Biagio Cepollaro,Trittico di novembre,2010.Tecnica mista su tre tele, cm 100 x 210.
Biagio Cepollaro: a proposito della mostra La materia delle parole
Avendo scritto poesie per trent’anni ho considerato le parole soprattutto come delle sonde per l’esplorazione del senso. Il suono, l’immagine che nella mente scorre, la disposizione grafica sulla pagina: il gioco della poesia si svolge nel continuo rimando tra immagine, suono e senso. Ma cosa accade quando è proprio la materia della parola a presentarsi in primo piano, nell’oblio del significato, nella sparizione del suono? La parola che s’incarna nella materia è diventata già una traccia di un pensiero: i suoi contorni non appartengono più all’invisibilità delle idee ma al sensibile delle materie. La parola diventa cosa tra cose, un pezzo di muro e di mondo, una superficie rugosa iscritta. Queste tracce concrete del pensiero sono come voci semisepolte nelle cose. Sono le parole guardate da fuori, senza la complicità del senso. Così ho costruito i miei fondi con le tempere all’uovo: fabbricarsi i colori è come inventare una propria grammatica. E poi, con questo bagaglio di memoria, ho provato ad incontrare le materie della città ho provato a piegarle a questo mio disegno: il cemento sulla tela, come l’intonaco minerale, come il catrame o il gesso. Il mordente per legno l’ho utilizzato come inchiostro. Sopra e dentro queste superfici graffiate ho fatto serpeggiare e restare i frammenti di versi che in quello stesso momento stavano venendo alla luce, nel dialogo col fondo e con la sua resistenza.
Biagio Cepollaro, Nel fuoco della scrittura a Milano,2009
ARCHI GALLERY
1-4 Dicembre 2009
Inaugurazione il 1 Dicembre, ore 18.30
Nel fuoco della scrittura è una mostra nata a Roma, presso La Camera verde, nel 2008, dando vita anche all’omonimo libro che raccoglie testi poetici e immagini del poeta-artista visivo. La mostra da Roma si è trasferita a Napoli (Il filo di Partenope,2009) e poi a Piacenza (Laboratorio delle Arti,2009) arricchendosi e cambiando, fino all’attuale fisionomia che prevede opere dipinte su legno, su carta e ‘ibridi’ digitali: stampe su tela, lavorate poi a mano. Queste opere appaiono nella mostra di Milano accanto a molte altre che non sono qui documentate.
Il nucleo generativo della mostra è rimasto immutato: la scrittura e il suo rapporto con i supporti e con i materiali della pittura.
Come dovremmo guardare a Nel fuoco della scrittura, non solo al particolare rapporto che segni, simboli, grafemi, intrecciano con i supporti, la materia pittorica, ma anche e soprattutto a come tutto ciò si leghi ad una idea di poesia?
Perché questo fuoco della scrittura deve essere guardato alla luce di quella idea di poesia più ampia che Biagio Cepollaro invocava così nei suoi Versi nuovi:
perché le parole non siano ancora
solo parole
continua la poesia
continuala pure
senza parole
Anche in questo fuoco della scrittura continua la poesia. Non era la scelta del silenzio, che quei versi invocavano, ma piuttosto quella di ripensare la poesia nella chiave di un agire silenzioso che si misuri con l’istanza di novità del qui e dell’ora. Un novum che è “l’inizio di ciò che continuamente comincia”.
In che continuum si inscrive questa idea rinnovata di poesia? A quale continuità si apre? E che ne è delle parole?
disimparammo a scrivere
e scrivemmo solo parole (da Versi nuovi)
Cosa sarebbe una poesia per cui le parole non fossero solo parole? un atto di scrittura che non scriva solo parole?
Non è qui la fiducia nella poesia, e nella lingua, a venir meno. Un’inguaribile fiducia nel fare poetico continua a sostenere i Versi nuovi, Lavoro da fare e anche questo Nel fuoco della scrittura.
E non è nemmeno la tensione alla sperimentazione sul linguaggio ad abbandonare il fare poetico di Cepollaro, che anzi intensifica il corpo a corpo con tutti gli strati e gli spessori della lingua.
Ciò che si consuma, che viene consumato, e lasciato alle spalle come un guscio vuoto, è invece l’idea della sperimentazione come mero procedimento formale e verbale: l’idea che la poesia sia solo una questione linguistica, e che la novità della poesia si misuri solo sulle parole.
Ora siamo ad una grande distanza da quell’idea, che aveva guidato dopotutto gran parte della poesia del novecento su opposte sponde – da quella simbolista a quella avanguardista – della poesia come funzione linguistica, e quindi come fondamentalmente intransitiva e autoreferenziale.
Anche se opera con le parole, e sulle parole, non è a partire da esse, e dai suoi procedimenti formali, che la poesia dovrà essere pensata e sperimentata.
Ecco allora il lavoro da fare, il primato dell’azione, del disporre, di quell’”agire silenzioso” richiamato ancora in limine a Nelfuoco della scrittura, nei versi inaugurali:
oltre i segni dicemmo e intendevamo
un agire silenzioso dentro il ritrovato
limite del dire […]
E come questo agire, la poesia dovrà esser pensata in relazione a un contesto, che non è un contesto di sole parole, ma in cui le parole si inseriscono, sono prodotte, sono esse stesse evento di un agire tra le cose.
E’ questa idea di una poesia che producendo il suo contesto, insieme si libera ad un contesto più ampio, che ci richiamano i versi di Nel fuoco della scrittura, con l’idea di liberare le parole “dall’inganno, di veicolare da sole un senso”, con il richiamo a un senso “più vasto della poesia, come la vita/sempre lo è di ognuno di noi”.
Come dobbiamo leggere allora tutti i segni che emergono dalle opere pittoriche di Biagio Cepollaro? Si tratta di parole che ricoprono il mondo, di un foglio mondo invaso, ricoperto dall’azione della scrittura? Se ci fermiamo a questa centralità della scrittura nell’opera pittorica, credo mancheremmo clamorosamente il bersaglio.
Perché qui non sono scritture che ricoprono il mondo – riducendolo a foglio, supporto dell’azione di scrittura – a manifestarsi. E non sono nemmeno parole poetiche che riassorbono nell’autoreferenzialità della lingua la materia pittorica.
Dobbiamo rovesciare invece il quadro. Non è l’idea del linguaggio poetico a coincidere con i limiti del mondo e a ridurre quest’ultimo a scrittura. Ma è nel limite ritrovato del linguaggio che invece si afferma un’idea estesa di poesia: di una poesia che venga al mondo attraverso e oltre il linguaggio.
Queste opere sono esse stesse la figurazione di una scrittura riassorbita nel mondo, del ritornare delle parole al loro contesto. Del loro essere riesperite a partire non da un fatto di lingua, ma dalla loro stessa azione fisica e materica. Del loro iscriversi nella nudità dell’esistere, nel contesto della vita propria – la vita che ci rappresentiamo – e insieme di una vita più ampia, anonima, di un universo a-verbale che scorre continuamente sotto di noi.
Così la pittura di Cepollaro è la messa in opera di questo attraversamento dei segni per andare oltre i segni, di una pratica artistica non auto conclusa, ma fondamentalmente eteronoma, che cerca la sua legge in quel continuum della vita che qui e ora può sempre esser riafferrata nella sua novità.
Non sono parole, dunque, ma ancora con parole innestate in una vita più vasta. Non arte per se stessa, ma ancora opera artistica, perché
[…] ancora
si scrive e si pensa
ancora si fa arte
ma da un’altra parte (Lavoro da fare)
E perché in fondo
[…] senso vivo all’arte
l’avrebbe dato il resto (Versi nuovi)
Di questa pratica l’opera pittorica di Cepollaro è una messa in opera, la figurazione di una idea poetica che continua oltre le parole e i segni, senza per ciò stesso annullarli, inchiodarli al silenzio, ma piuttosto inquadrandoli da un punto di vista in cui essi diventano tracce di un nostro stare materialmente esposti al mondo, “tracce scure o lucenti di un fuoco”, perché i segni e le parole possano stare finalmente “al gioco delle cose”.
Ringrazio Ottavio Rossani per l’articolata recensione alla mia mostra Nel fuoco della scrittura, in corso presso il Laboratorio delle Arti, Piacenza.
Mi ha colpito l’inserimento di un testo poetico tratto da Fabrica (Zona, 2002) che faceva riferimento alla centralità del suono che dissemina il senso: tale scelta mi fa pensare alle corrispondenze possibili anche nel ‘visivo’, dove apparentemente vi è silenzio. E alla presentazione di Italo Testa che aveva come oggetto l’uscire fuori dalle parole, per complicazione segnica, se così si può dire, e non per negazione.
E’ possibile leggere la recensione: Biagio Cepollaro a Piacenza, Nel fuoco della scrittura: tra poesia e pittura qui
La mostra di Biagio Cepollaro è prorogata per tutto il mese di luglio.Piacenza, Laboratorio delle Arti.
Nell’ambito dei Venerdì Piacentini, il Laboratorio delle Arti è lieto
di invitarvi venerdì 26 giugno a partire dalle ore 21 all’apertura serale della galleria,
allietata da Vania Lo Bianco al pianoforte e Marta Canobbio al flauto, che proporranno una selezione di brani tratti dal repertorio classico e dalle più note colonne sonore cinematografiche.
Cogliamo l’occasione per comunicare che la mostra di Biagio Cepollaro verrà prorogata per tutto il mese di luglio e sarà visitabile dal martedì al venerdì dalle ore 16 alle ore 19. Laboratorio delle Arti – Piazza Barozzieri 7/a Piacenza – Tel. 0523-330057 – www.laboratoriodellearti.it
è un video ideato e realizzato da Paolo Rassatti con le musiche di Giuseppe Cepollaro.
Il video è nato in occasione della preparazione della mostra personale e presentazione del libro di Biagio Cepollaro Nel fuoco della scrittura, a cura di Italo Testa.
Piacenza, 3 giugno- 4 luglio 2009, Laboratorio delle Arti,
Di nuovo nel sito vi è l’archivio dedicato alle arti visive che comprende le seguenti sezioni: Tele, Carte, Ibridi digitali, Cartoni telati,Tavole, Video, Libri, E-book, Riflessioni sull’arte, Mostre, Recensioni e Info.
It’s hard to imagine a time when only landscapes and portraiture were the order of the day. We are surrounded by so many kinds of art today, that considering any restraints is nearly impossible. Here we are in the 21st century, where using words, letters, marks and gestures is quite common. Writing has become such an integral part of many an artist’s oeuvre. One such artist is Biagio Cepollaro. In some of his work, there’s the enigma of seeing legible words without being able to understand them, which makes us wonder what he’s saying; what ideas are being proffered. In other works, it’s only the gesture of writing that he captures and he uses that as construction, with no intention of conveying a meaning. But whether readable or not his compositions are all about writing and marks. Instead of looking at a still life or landscape, here we are appreciating something totally human; a man’s thoughts and gestures.
Dalla poesia alla pittura lungo la via della tecnologia digitale. Può riassumersi così la vicenda artistica del napomilanese Biagio Cepollaro, protagonista di una personale dal titolo «Nel fuoco della scrittura nello spazio Il Filo di Partenope (via della Sapienza 4, tel. 081.295922).
Ospite di Alberto D’Angelo e Lina Marigliano, Cepollaro lavora sull’ibridazione tra le tecnologie digitali e le tecniche pittoriche più tradizionali, elaborando lavori in cui esprime al meglio lo spirito del meraviglioso mondo creato dai due editori artigiani dove arte e letteratura viaggiano insieme spaziando, appunto, tra arte, libri e poesia.
In esposizione, introdotte da uno scritto di Mariano Baino, circa 40 di opere di varia dimensione di cui due tecniche miste su tavoletta di legno e, per il resto, tutte tele cartonate lavorate dapprima allo scanner e poi completate con interventi di pittura tradizionale. Partendo dalla rielaborazione allo scanner di immagini e oggetti preesistenti, si giunge ad un perfezionamento del lavoro con l’uso di pastelli, inchiostri, oli e l’inserimento di scritte e frasi poetiche d’uso puramente strumentale all’estetica delle composizione stesse.
Due le serie in rassegna, una, dedicata al «Tamburo di Shiva», l’altra a «I due serpenti»: la prima si riferisce al cosmo che rinasce continuamente, la seconda guarda al culto occidentale legato al caduceo di Hermes ma si riferisce pure alla bipolarità della cultura orientale nel binomio yin e yang. «Lavoro per entrambe allo stesso modo, spiega l’autore, focalizzandomi su temi archetipici come la freccia e la clessidra, su segni alchemici come quello dello zolfo, su oggetti comuni come una matassina del cotone piuttosto che una forma d’alluminio per tartine, guardo alla circolarità tra il digitale ed il manuale che per me diventano solo due differenti momenti di un solo stato, quello della materia, oggetto del mio interesse artistico».
Docente di storia e filosofìa, dopo anni di intenso impegno poetico, a metà degli anni ’80, poi la stesura della trilogia «De requie et Natura» (poema sulla natura artificiale dei paesaggi metropolitani e dei molteplici linguaggi compresenti che l’attraversano), attualmente Biagio Cepollaro si concentra sulle arti visive.
Paola de Ciuceis, Il Mattino di Napoli, 15 gennaio 2009
INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA DI OPERE
DI BIAGIO CEPOLLARO
“NEL FUOCO DELLA SCRITTURA”
CON LA PRESENTAZIONE DI MARIANO BAINO
BRINDISI AL 2009 CON
INCHIOSTRO D’ISPIRAZIONE
AUTENTICO ARTIST’S COCKTAIL
PREPARATO DA CESARE GAGLIARDI
CON LA RICETTA DELL’ARTISTS CLUB DI RUE PIGALLE DI PARIGI
ILFILODIPARTENOPE80138 NAPOLI VIA DELLA SAPIENZA 4
Provenendo dalla poesia e dal digitale posso avere l’illusione di padroneggiare le parole e il puramente virtuale, o al contrario, la disillusione che dice l’inanità delle parole e la materialità dell’immateriale.
Ora vi è un oggetto davanti a me, una tavola di legno, cm 70 x 80, oppure cm 70 x 100.
Tavola che preparo con il gesso.
Provenendo dalla poesia so che l’oggetto davanti a me è un libro o una pagina, sia pure una pagina elettronica.
Pagina ora di legno e gesso,bianca.
Comincio a scrivere i segni col colore, con i pastelli, li ricopro col gesso finchè traspaiano al punto giusto o con qualche altro materiale.
Coprire, scoprire, trasparire, sparire.
I muri scritti della città, le pagine-pareti, le pareti su cui si stratificano tracce emozionali, i racconti ridotti a frase, la rabbia fatta graffio, graffiata.
Non i graffiti che sono discusso arredamento urbano, punto di crisi del concetto di proprietà, limite valicabile tra pubblico e privato, tra dentro e fuori in una città.
Non mi interessa da tempo ciò che è nuovo, nuovo è ogni incontro fragrante con un oggetto, con un’idea, con una persona. Non c’è nuovo, c’è la speranza di rinnovarsi, l’attualizzarsi: penso al primitivismo e all’importanza per le avanguardie storiche.
Sono questi i corto-circuiti che mi stimolano, in cui mi ritrovo, quando penso alla poesia, al primo libro della mia trilogia, aScribeide e alla lingua di Jacopone da Todi che viene lì riattualizzata, appunto…
Più di un amico guardando una mia opera visiva mi chiede se si riesce a leggere le parole che vi sono scritte. Rispondo che anch’io oggi non vi riuscirei. Perché quelle parole, nate come parole spinte e compresse fino a farsi verso, erano destinate a diventare segni mescolati ad altri segni di diversa natura: colore, materia, figura… Insomma erano destinate a collaborare alla costruzione di una forma.
Le parole, tutte le parole, anche le più lise, per la nostra cultura, hanno nella loro genetica qualcosa che si potrebbe definire mitologicamente l’imperium del Verbo, ora sulle mie tavole, vorrei non avessero più quel potere, cessassero il loro muto discorso per le orecchie e si stringessero in un discorso privo di parole, qualcosa che sia solo per gli occhi, visione.
Ma se anche si ricostruisse il senso di quelle parole (e in alcuni casi è possibile esistendo un testo precedente a parte) quel senso non sarebbe, in quanto tale, a dialogare con gli altri segni, perché a farlo sono sempre e solo i segni.
Mi chiedo se questo strano destino delle parole di testimoniare qualcosa che con il senso non c’entra, né con la denotazione, né con chi parla, né con chi a cui si parla, non sia anche un po’ il destino di tutte le parole: ascoltate perché siano fraintese, proferite perché restino lì inascoltate, mosse dal desiderio o dalla ferita proprio quando desiderio e ferita non avranno mai un nome esauriente, definitivo.
Le parole che vorrebbero essere un nome proprio possono anche essere intollerabili.
Divorzio non scelto tra il proprio e le parole, una volta si sarebbe detto tra langue e parole,fino a ritenere che il proprio non sia linguaggio, che sia qualcosa che sta lì, di fronte a chi parla, o dentro a chi parla come suo motore di desiderio o di ferita.
Segno che non rimanda a nulla di preciso e per questo sempre percorribile purchè vi sia l’accensione minima di una risonanza.
Biagio Cepollaro, Sale-1, 2008
Stampato su carta telata, formato A4.
Interventi successivi con tecnica mista.
In esposizione dal 20 settembre 2008, sabato, ore 18.00, presso La Camera Verde, Via Giovanni Miani, 20, 20/a, 20/b – 00154 Roma
Cell. 340 5263877
e-mail: lacameraverde@tiscalinet.it www.lacameraverde.com
Inaugurazione della mostra di pittura e presentazione del libro Nel fuoco della scrittura
di Biagio Cepollaro
La mostra si può visitare fino al 17 ottobre
dalle ore 17.00 alle ore 23.00, esclusi i lunedì.
Di mattina su appuntamento.
Biagio Cepollaro, La via dello zolfo-1, 2008
Stampato su cartoncino telato formato A4.
Interventi successivi con tecnica mista.
In esposizione dal 20 settembre 2008, sabato, ore 18.00, presso La Camera Verde, Via Giovanni Miani, 20, 20/a, 20/b – 00154 Roma
Cell. 340 5263877
e-mail: lacameraverde@tiscalinet.it www.lacameraverde.com
Inaugurazione della mostra di pittura e presentazione del libro Nel fuoco della scrittura
di Biagio Cepollaro
La mostra si può visitare fino al 17 ottobre
dalle ore 17.00 alle ore 23.00, esclusi i lunedì.
Di mattina su appuntamento.