Archive for the ‘Pensieri sull’arte’ Category

Rapsodia in bianco

febbraio 20, 2011

Rapsodia in bianco-1

Comincerò dal bianco sul bianco? Bianco per cancellare, pulire, azzerare, fare spazio, fare respiro, fare silenzio, fare traccia, sedimento, fossile, indizio, fare daccapo, ricominciare.

Ed è anche la differenza minima, lo scarto che non percepisci mai e che ora sei costretto a percepire, è la sorpresa di ciò che uno ritiene di sapere già e che scopre di non sapere. Il bianco su bianco è il pregiudizio, è lo smascheramento del pregiudizio, della presunzione. Ed è anche spostamento della neve, mutamento locale della temperatura, neve fresca neve secca, neve con sole neve nella nebbia, striature di giallo, striature di blu, bianco che copre, bianco che scopre.

Bianco perché se c’è un segno è quello che ha resistito ed è rimasto: quindi bianco solo alla fine, dopo l’impasto. Ciò che resta è ciò che traspare dal bianco, che si vede lo stesso, che si vede nonostante. Bianco è ciò che resta dopo che il nuovo inizio è già cominciato: bianco non è mai bianco. L’ossessione del bianco della pubblicità: lavare tutti i peccati, il bianco che più bianco non si può perché può lavare anche l’anima di chi indossa il bianco per eccellenza … In realtà il bianco su bianco è solo presunto, il bianco su bianco dice che non si trattava di bianco ma di qualcosa che assomigliava già al grigio. E a me interessa proprio quel grigio scoperto, smascherato, imprevisto. Perché quel grigio viene dalla pesantezza di un bianco mai raggiunto ma solo presunto, appunto. Ma il bianco su bianco dice anche la relatività della conquista e della purezza. La relatività della posizione, della certezza. A questo movimento di smascheramento e di relativizzazione non ci sarà mai fine.(B. C.)

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L’eco del fiume

febbraio 18, 2011

Attraverso la pittura parlo dei muri della città. Delle mie camminate a piedi, delle attraversate da pedone dei quartieri in tutte le stagioni. Ascolto i segni sui muri oltre a vederli, come se ancora fosse udibile il rimuginare che li ha creati. Suoni di pensieri incontrollati che sono tanto di coloro che hanno graffiato i muri quanto di coloro che hanno osservato quelle scritte, si sono indignati o hanno ammirato quei graffi. Ma soprattutto dell’incontro tra quei segni e la materia composita di cui son fatti i muri. E il tempo che tutte queste cose amalgama. Le nuove tecnologie non incidono su questi aspetti del paesaggio e su questo tipo di detriti: certo, i temi sono di oggi e anche i materiali che si stratificano su muri che però è come se fossero quelli di sempre: si, il muro, la facciata, la parete è come se portassero con sé una lentezza che per strada non c’è. Non sono propriamente immobili, mossi invece da questo mutare continuo del loro aspetto di pagine già scritte. Ma appunto sono ancora e di nuovo e continuamente riscritte queste pagine crepate. La strada scorre come un fiume di detriti, un fiume che frana, una valanga, un fiume di fango …L’argine resta raccogliendo l’eco del fiume.

Biagio Cepollaro

Intervista a Biagio Cepollaro su Responsabilità dell’autore. A cura della Redazione di Nazione Indiana

Maggio 27, 2010
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Corsi di poesia integrata 2010. Sono aperte le iscrizioni.

dicembre 16, 2009

Il corso di tre mesi è strutturato in incontri settimanali di tre ore e ha luogo a Milano, in via Donatello 33.

Per informazioni scrivere a Biagio Cepollaro poesiaintegrata@hotmail.it

o telefonare al 3394200299

Il sito del Corso di Poesia Integrata

www.cepollaro.it\corso\Corso di poesia integrata.htm

Articolata recensione alla mostra Nel fuoco della scrittura su Corriere.it

giugno 24, 2009

Ringrazio Ottavio Rossani per l’articolata recensione alla mia mostra Nel fuoco della scrittura, in corso presso il Laboratorio delle Arti, Piacenza.

Mi ha colpito l’inserimento di un testo poetico tratto da Fabrica (Zona, 2002) che faceva riferimento alla centralità del suono che dissemina il senso: tale scelta mi fa pensare alle corrispondenze possibili anche nel ‘visivo’, dove apparentemente vi è silenzio. E alla presentazione di Italo Testa che aveva come oggetto l’uscire fuori dalle parole, per complicazione segnica, se così si può dire, e non per negazione.

E’ possibile leggere la recensione: Biagio Cepollaro a Piacenza, Nel fuoco della scrittura: tra poesia e pittura qui 

Il sito www.cepollaro.it è regolarmente on line.

aprile 30, 2009

L’Archivio Arti Visive nel sito www.cepollaro.it

Di nuovo nel sito vi è l’archivio dedicato alle arti visive che comprende le seguenti sezioni: Tele, Carte, Ibridi digitali, Cartoni telati,Tavole, Video, Libri, E-book, Riflessioni sull’arte, Mostre, Recensioni e Info.

Grazie per le sue parole a Dean Aldrich

marzo 20, 2009

Ringrazio Dean Aldrich per le sue parole di apprezzamento.

Riporto qui il testo tratto da Words and Mark Making, in Tackad http://tackad.blogspot.com/2009/03/words-and-mark-making.html

Words and Mark Making

It’s hard to imagine a time when only landscapes and portraiture were the order of the day. We are surrounded by so many kinds of art today, that considering any restraints is nearly impossible. Here we are in the 21st century, where using words, letters, marks and gestures is quite common. Writing has become such an integral part of many an artist’s oeuvre. One such artist is Biagio Cepollaro. In some of his work, there’s the enigma of seeing legible words without being able to understand them, which makes us wonder what he’s saying; what ideas are being proffered. In other works, it’s only the gesture of writing that he captures and he uses that as construction, with no intention of conveying a meaning. But whether readable or not his compositions are all about writing and marks. Instead of looking at a still life or landscape, here we are appreciating something totally human; a man’s thoughts and gestures.

 

 

 

 

Prima e intorno alla mostra di Napoli del 9 gennaio 2009 (3)

gennaio 6, 2009

Mostra e presentazione del libro di Biagio Cepollaro

Nel fuoco della scrittura

Il Filo di Partenope,  Napoli, via della Sapienza 4

(zona Museo-via Costantinopoli)

tel. 081295922 – 3388581875

 

Biagio Cepollaro, Al di là del bianco,2008

Biagio Cepollaro, Al di là del bianco,2008

Biagio Cepollaro, Al di là del bianco-2, 2008
Dipinto su tavola, cm 70 x 100.
Tecnica mista.

 *

oltre i segni dicemmo e intendevamo

un’agire silenzioso dentro il ritrovato

limite del dire: scontata l’infinita

rifrazione del senso per chi ascolta

come per accettazione euforica

di un limite appunto che diventa

nuovo punto di partenza: il senso

è più vasto della poesia come la vita

sempre lo è di ognuno di noi

 

e crescere è stato ogni volta venire

meno ad un altrui riconoscimento

non appena si fosse coagulato

anche per poco un senso nel flusso

di un dialogo: le identità fanno

male perché non sono vere

 

forse era questa la vera

diffidenza di platone per le forme

mutevoli del mondo: ciò che più

ci appartiene è in fondo

ciò che resta segreto anche a noi

e non è una cosa non è un modo

di fare o di pensare piuttosto

è il fuoco del pensare e del fare

 

che non ha nome

 

*

ormai non sono le parole ad indicarci

e le parole della storia ad una certa

età suonano come storia di parole

passaggi di convenzioni allucinazioni

condivise in forme di vita

addensate o rare come di nuvole

si dice del clima: una parola

commuoveva mio padre

al pronunciarla: provvidenza

solo il suo suono gli faceva

compagnia: parole-sostegno

che fanno da contesti o farmaci

come sicurezza continuità

ma servono solo a contenere

se c’è una nostra intenzione

una paura un’ossessione

dietro di esse può esserci

di tutto e il suo contrario

come quando si dice

arte e ognuno vi spedisce

dentro la cova di un sogno

di un rimorso di una presunzione:

ogni giorno questa parola

smette il suo vestito

e dopo tanti anni di eleganza

e nudità dopo l’acre

odore dell’insistenza

delle prove smesse

è ancora lì come una semplice

parola che mi chiede la vita

 

Da Biagio Cepollaro, Nel fuoco della scrittura, La Camera verde, Roma, 2008

 

Prima e intorno alla mostra di Napoli del 9 gennaio 2009 (2)

gennaio 5, 2009

Nel fuoco della scrittura

Il Filo di Partenope,  Napoli, via della Sapienza 4

(zona Museo-via Costantinopoli)

tel. 081295922 – 3388581875

 

Coprire, scoprire, trasparire, sparire

Provenendo dalla poesia e dal digitale posso avere l’illusione di padroneggiare le parole e il puramente virtuale, o al contrario, la disillusione che dice l’inanità delle parole e la materialità dell’immateriale.

Ora vi è un oggetto davanti a me, una tavola di legno, cm 70 x 80, oppure cm 70 x 100.

Tavola che preparo con il gesso.

Provenendo dalla poesia so che l’oggetto davanti a me è un libro o una pagina, sia pure una pagina elettronica.

Pagina ora di legno e gesso,bianca.

Comincio a scrivere i segni col colore, con i pastelli, li ricopro col gesso finchè traspaiano al punto giusto o con qualche altro materiale.

Coprire, scoprire, trasparire, sparire.

I muri scritti della città, le pagine-pareti, le pareti su cui si stratificano tracce emozionali, i racconti ridotti a frase, la rabbia fatta graffio, graffiata.

Non i graffiti che sono discusso arredamento urbano, punto di crisi del concetto di proprietà, limite valicabile tra pubblico e privato, tra dentro e fuori in una città.

Non mi interessa da tempo ciò che è nuovo, nuovo è ogni incontro fragrante con un oggetto, con un’idea, con una persona. Non c’è nuovo, c’è la speranza di rinnovarsi, l’attualizzarsi: penso al primitivismo e all’importanza per le avanguardie storiche.

Sono questi i corto-circuiti che mi stimolano, in cui mi ritrovo, quando penso alla poesia, al primo libro della mia trilogia, a  Scribeide e alla lingua di Jacopone da Todi che viene lì riattualizzata, appunto…

(B.C)

Prima e intorno alla mostra di Napoli del 9 gennaio 2009 (1)

gennaio 4, 2009

Nel fuoco della scrittura

Il Filo di Partenope,  Napoli, via della Sapienza 4

(zona Museo-via Costantinopoli)

tel. 081295922 – 3388581875

 

La trasmutazione delle parole

 

Più di un amico guardando una mia opera visiva mi chiede se si riesce a leggere le parole che vi sono scritte. Rispondo che anch’io oggi non vi riuscirei. Perché quelle parole, nate come parole spinte e compresse fino a farsi verso, erano destinate a diventare segni mescolati ad altri segni di diversa natura: colore, materia, figura… Insomma erano destinate a collaborare alla costruzione di una forma.

Le parole, tutte le parole, anche le più lise, per la nostra cultura, hanno nella loro genetica qualcosa che si potrebbe definire mitologicamente l’imperium del Verbo, ora sulle mie tavole, vorrei non avessero più quel potere, cessassero il loro muto discorso per le orecchie e si stringessero in un discorso privo di parole, qualcosa che sia solo per gli occhi, visione.

Ma se anche si ricostruisse il senso di quelle parole (e in alcuni casi è possibile esistendo un testo precedente a parte) quel senso non sarebbe, in quanto tale, a dialogare con gli altri segni, perché a farlo sono sempre e solo i segni.

Mi chiedo se questo strano destino delle parole di testimoniare qualcosa che con il senso non c’entra, né con la denotazione, né con chi parla, né con chi a cui si parla, non sia anche un po’ il destino di tutte le parole: ascoltate perché siano fraintese, proferite perché restino lì inascoltate, mosse dal desiderio o dalla ferita proprio quando desiderio e ferita non avranno mai un nome esauriente, definitivo.

Le parole che vorrebbero essere un nome proprio possono anche essere intollerabili.

Divorzio non scelto tra il proprio e le parole, una volta si sarebbe detto tra langue e parole,fino a ritenere che il proprio non sia linguaggio, che sia qualcosa che sta lì, di fronte a chi parla, o dentro a chi parla come suo motore di desiderio o di ferita.

Segno che non rimanda a nulla di preciso e per questo sempre percorribile purchè vi sia l’accensione minima di una risonanza.

(B.C.)

 

L’idea della materia

giugno 2, 2008
 

Le nuove tecnologie ci restituiscono, attraverso la digitalizzazione, la riduzione in numero di immagine, colore, suono, parola…Ci propongono una separazione tra materiale e materia: il materiale con la sua prolissità tattile e la materia come configurazione quasi-ideale di un concetto.

 

 

Quando il processo della creazione comincia con la scansione digitale di una superficie precedentemente lavorata e disposta ad entrare nel futuro lavoro estetico, quando il processo della creazione termina con l’intervento ‘a mano’ (con tecnologie precedenti) di questa stessa superficie (ma all’origine vi può anche essere un oggetto tridimensionale), in mezzo e alla fine del processo si sono realizzate due elaborazioni compositive decisive: quella al computer e quella sulla stampata finale.

Alla fine conta il supporto, la reazione del supporto ai due tipi di intervento. Il supporto è la sintesi finale: è la materia che si è configurata a partire dal materiale ma che ha provato, per quanto ha potuto, ad evitarne le prolissità. Il numero caratterizzante il digitale qui non è più semplificazione e appiattimento, né resa alla virtualità, ma semplicemente acquisizione in dialogo di tecnologie più recenti. L’essenziale comunque non è nel materiale, forse non lo è mai stato: l’essenziale è forse qui nell’idea di materia che si riesce ad esprimere.

(B.C.)

 Biagio Cepollaro, Chen,2008.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Biagio Cepollaro, Chen,2008. Prima serie dei Trigrammi.

Stampato su carta telata A4.  Interventi successivi con tecnica mista

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo strumento restituito alla sua origine

giugno 2, 2008

Quando la scrittura non è più uno strumento di comunicazione, un codice, un veicolo, quando non è neanche un segno indecifrabile decaduto ad oggetto, diventa materiale di costruzione che ai miei occhi rimanda direttamente alla relazione con il mondo. Il pensiero sulla scrittura ha sempre connesso  i diversi sistemi di codificazione alle cose da dire, raccontare, calcolare. Ma quando uno strumento viene restituito alla sua origine, quando non si proietta più nel passato remoto una mentalità economica che è invece moderna, accade di fare una strana esperienza della scrittura.

Non è vero che questa esperienza ha a che fare solo con l’autoreferenzialità del segno o alla sua concretezza. L’esperienza che ho fatto è di comunicare, attraverso questo fuoco della scrittura, con la nudità fondamentale dello stare al mondo, nudità tanto culturale quanto creaturale.

Da questo punto di vista la storia e la storicità dei segni appaiono come modalità di ricostruzione di un’esperienza collettiva possibile, solo possibile.

Ciò che la storia non ci racconta è il segreto individuale di ogni singola creatura alle prese con i suoi mostri e con le sue speranze.

Una sorta di anteriorità, di lato nascosto, di lato concavo dell’atto dello scrivere che ho la sensazione di ripercorrere facendo questi segni, questi lavori.

E’ una scrittura che spesso ha avuto per me il sapore dell’ex-voto. Anche in questo caso ciò che conta non è la pittografia del gesto di ringraziamento o di implorazione ma l’esperienza del gesto del ringraziare e dell’implorare attraverso una sorta di scrittura oggettuale…

(B.C.)

Produrre immagini

giugno 1, 2008

Produrre immagini in un tempo in cui sembra che alle cose si siano sostituite immagini, che alla materia si sia sostituito l’immateriale, pare un paradosso. Piuttosto una furia iconoclasta dovrebbe farci chiudere gli occhi e non solo per non vedere fuori e vedere dentro ma proprio per ristabilire una giusta distanza tra fuori e dentro, per ascoltare, insomma. E dunque non immagini ma suoni e anzi suoni senza suono, radicalmente interiori.

Eppure mi ritrovo a produrre dei segni, delle immagini.

Forse perché vi sono delle attività umane così archetipiche che la congiuntura storica di saturazione –indotta- di immagini non basta a far tacere l’antica necessità di tracciare segni, stendere colore, trafficare con strumenti e materiali, giocare, resta intatta ed attuale…

(B.C)

Nel fuoco della scrittura

Maggio 31, 2008

 

 

 

 

prima serie dei Trigrammi

 

Biagio Cepollaro, Ch’ien, Prima serie dei Trigrammi,2008.

Stampato su carta telata A4. Interventi successivi tecnica mista.

 

 

C’è la scrittura, ci sono le ‘cose scritte’ e c’è l’atto dello scrivere, il movimento del braccio e della mano nella percezione del contatto con il supporto. E c’è un atto dello scrivere che è un vero e proprio atto sacrificale in cui la parola appena scritta è sin dall’inizio solo una traccia e uno strato della nuova (che magari è la stessa) parola scritta e così, tendenzialmente, all’infinito.

L’atto dello scrivere a questo punto è un fare strato su strato che non è cancellazione ma sedimentazione della traccia. Tale sedimentazione è già immagine e visione: quando ciò che conta non è la sua funzione informativa né quella espressiva ma il fisico esserci, il segno di un’invocazione ripetuta, di un’apertura del cuore, di una speranza.

Quando questo fisico esserci è già struttura compositiva, è già senso al di là del significato.

E’ la danza della parola che come per la danza dei dervisci gira in tondo: non è più importante il corpo che si muove, la figura della danza, ma ciò che di questo movimento resta, la scia di un abbandono estatico. E c’è in questo tipo di danza un‘intenzione cosmologica e cosmogonica, il danzatore, ad esempio, mima il moto dei pianeti muovendosi in senso antiorario sul proprio asse.

Anche l’atto dello scrivere può avere la stessa intenzione quando riporta sul piano l’organizzazione di un suono. Millenni testimoniano questa possibilità. Scrivere dimenticando per poter ancora scrivere, come si ara un terreno, nell’estenuazione dell’andare e del venire, del sorgere e del tramontare.